Locarno: un film disegna la geografia dei "nostri" migranti. La Calabria terra di ospitalità e sfruttamento

"IL NUOVO SUD DELL'ITALIA" fotogrammi dall'inferno

Rosarno è una ferita aperta nella coscienza civile e sociale dell'Italia moderna. Lo sa Andrea Segre, che ne Il sangue verde mostrerà quei giorni di protesta e di disumana e lucida disperazione, lo sa Pino Esposito che qui a Locarno, nella sezione "Appellation Suisse", ci mostra IL NUOVO SUD DELL'ITALIA. E non è un caso che quest'ultimo, quasi legato da un'affinità elettiva col primo, ricorda in uno dei cartelli iniziali del suo film, che nella rotta dell'immigrazione verso l'Italia, dalla Libia, in 10 anni si sono contati 10mila caduti. Una guerra in piena regola, raccontata dallo stesso Segre in Come un uomo sulla terra. Esposito, però, la sua indagine la rivolge a quel profondo Sud che accoglie, subisce, accetta, combatte questa ondata migratoria. E da questi verbi, messi in fila e apparentemente contraddittori, si evince immediatamente lo sguardo semplice e contemporaneamente complesso con cui il regista fotografa - nel vero senso del termine, il film inizia con l'assordante silenzio delle foto di Antonio Murgeri al cimitero delle navi di Lampedusa - una realtà in continuo divenire. Quel Sud-discarica che non ha smesso di produrre emigranti ma che ora è anche terra di immigrazione, di reietti. Non solo quelli che arrivano ma anche quelli che ci abitano e da 150 anni sono ignorati dallo Stato e stigmatizzati - con moralismo da strapazzo e arrogante indifferenza per le proprie responsabilità - dal resto del paese. Pino, calabrese, ci mostra quella Calabria meravigliosa e aspra, terra di ospitalità e sfruttamento, di uomini e donne che sanno dividere con l'altro anche l'indispensabile e di altri uomini e donne che dell'altro fanno strumento criminale di dolore. Esposito ha uno stile poetico, personale col quale, dando centralità all'immagine evocativa e alla parola (bellissima, all'inizio, l'orazione malinconica del migrante che dice: «se mi prenderanno, non avrò piú nome né patria, sarò solo un ricordo) riesce a ridisegnare la geografia di una terra ormai franca. Non c'è tesi nel suo film, ma osservazione profonda e sensibile: il poliziotto parla come il marocchino, il racconto a più voci non ha censure o montaggi faziosi. La potenza di un documentario come questo sta nel lasciare nello spettatore spunti di riflessione liberi di comporsi in un'opinione personale ed elaborata, persino contraddittoria. Nulla, ovviamente, risponde ai soliti stereotipi, che siano quelli razzisti o buonisti, tutto viaggia nella macchina da presa di Pino Esposito come un flusso vitale e purtroppo cupo. La guerra tra poveri di cui la Calabria è esempio e campo di battaglia ci restituisce quello che la globalizzazione e il cinismo del sistema di sviluppo occidentale moderno hanno creato: enormi ghetti da cui è inutile scappare. Perché c'è sempre un Nord che ti ricaccerà indietro.

B.S

14/08/2010